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100 anni dalla riconquista dell’Indipendenza della Lituania

Alessandro Vitale, politologo e professore dell’Università degli Studi di Milano

Alessandro Vitale, politologo e professore dell’Università degli Studi di Milano. A. Buckutės nuotr.

 

Non è facile trovare in Italia molte persone in grado di comprendere pienamente cosa significhi per i Lituani – e in generale per l’Europa – il Centesimo anniversario della Dichiarazione d’Indipendenza della Lituania, avvenuta il 16 febbraio 1918. Nel migliore dei casi questo anniversario viene equiparato a quello delle indipendenze di altri popoli, dichiarate alla fine della Prima Guerra Mondiale. Questo accade perché la ricca e plurisecolare storia lituana è ancora largamente ignorata, nonostante il fatto che il Paese baltico e per definizione centroeuropeo, parte integrante della storia del continente sia culturalmente che politicamente da secoli – e già da molti anni membro delle istituzioni euroatlantiche – è scomparso per cinquant’anni dalle carte geografiche e per più di un settantennio dai libri di scuola e dalla coscienza d’Europa, assorbito nella definizioni fuorvianti – e figlie della guerra fredda – di “ex Unione Sovietica” o di “Europa dell’Est”.

 

La riconquista lituana dell’Indipendenza politica nel febbraio del 1918 e la creazione della Prima Repubblica hanno rappresentato la liberazione e la fuoriuscita da un lungo periodo (1795-1918) di dura dominazione imperiale, che aveva piegato i Lituani e sconvolto la fisionomia dell’Europa, interrompendo bruscamente, con le spartizioni, quattro secoli di Confederazione Polacco-lituana e la lunga storia del Granducato di Lituania, la più ampia compagine politico-geografica d’Europa, che era diventata l’esempio di una convivenza politica multietnica, tollerante e aperta, un autentico faro di civiltà. Ristabilendo nel 1918 un’indipendenza delle terre originariamente a maggioranza nativa lituana – e grosso modo corrispondenti (come oggi, a seguito della restaurazione dell’Indipendenza del 1990 e della liberazione dal giogo sovietico) all’area geografica e etnografica originaria dei Lituani e alla compagine politica aggregata dal principe Mindaugas, riconosciuto dal Papa come re nel XIII secolo (1236-1263) – la Lituania aveva dimostrato a tutto il mondo, come nessun altro Paese, la forza e le potenzialità delle rivendicazioni di indipendenza politica, di self-rule e l’importanza di questi strumenti, che sono i più potenti e efficaci per difendere un’identità minacciata da decenni di dominazioni assimilanti e violente e da agguerrite, aggressive e rapaci potenze straniere. Il caso lituano nel 1918 era diventato così l’emblema della tenacia nella lotta di un popolo contro le dominazioni straniere, per l’indipendenza politica, per l’autogoverno, per la difesa della cultura, dell’identità e della dignità nazionale.

 

La fine del lungo XIX secolo

 

Il lungo secolo XIX, infatti, sotto il giogo della dominazione zarista, era già stato, a partire dal 1795 e ben prima dell’incubo che i Lituani vivranno nel secondo Novecento sotto l’occupazione sovietica (che è stato la prosecuzione delle politiche imperiali precedenti, ma che ha raggiunto le più spaventose manifestazioni, nemmeno immaginate dalle più terrificanti “anti-utopie” letterarie), un periodo di dominazione imperiale caratterizzato da una continuata e sistematica devastazione delle libertà politiche, civili e del patrimonio culturale, storico, architettonico e linguistico della Lituania: uno dei casi più macroscopici di duro dominio politico nella storia europea. In tutti questi campi l’Impero zarista, a differenza di quanto ha fatto in altre sue aree geografiche interne, aveva lasciato terra bruciata. Anche solo considerando l’importanza linguistica della Lituania, infatti, a dimostrare la gravità delle politiche di assimilazione e di repressione culturale basterebbe il fatto macroscopico che la lingua lituana, con la sua antichità, arcaicità e unicità, il suo carattere comparativo indoeuropeo di enorme rilevanza per i linguisti, rappresenta un patrimonio dell’umanità insostituibile e uno degli ultimi baluardi di fronte alla scomparsa di numerose altre lingue di ceppo baltico estintesi nel corso dei secoli, anche a causa delle dominazioni straniere (ad esempio l’Antico prussiano o “Borusso”, lingua di ceppo baltico). Quel periodo aveva già prodotto tentativi di violenta assimilazione culturale, di cancellazione della cultura e della lingua lituane (1840: introduzione dell’alfabeto cirillico; 1864-1904: divieto dell’uso pubblico della lingua lituana – il padre del più grande pittore e musicista lituano, Mikolajus K. Čiurlionis, perse il lavoro per essere stato sorpreso a parlare in lituano per la strada…), in perfetta aderenza alla logica omogeneizzante dello Stato moderno. Già nel periodo zarista, infatti, erano stati innumerevoli i tentativi di cancellare tutta la storia lituana precedente, che per secoli era stata anche una storia di netta contrapposizione, politica e culturale, alla Russia moscovita e alla sua autocrazia. La dominazione zarista aveva cercato di radere al suolo anche le testimonianze fisiche di quella lunga vicenda di contrapposizione fra il Granducato di Lituania e la rivale Russia di Mosca. Del resto, perfino il nome di Lituania scomparve dopo il 1795, sostituito nei documenti ufficiali dalla gelida e burocratica definizione di “Governatorato del Nordovest”, sottoposto a colonizzazione, condotta soprattutto con l’espropriazione delle terre e una micidiale russificazione culturale e religiosa, soprattutto sotto il regno di Nicola I°.

 

Uno degli esempi più tipici e emblematici dell’attacco alla cultura della Lituania nel periodo za-rista è stato quello dei divieti di scrivere, parlare, insegnare, pubblicare libri in lituano e con l’alfabeto latino. A questo tentativo di de-nazionalizzazione, speculare alla russificazione e all’imposizione dell’Ortodossia (soprattutto dopo il 1863), i Lituani risposero con il fenomeno, più unico che raro in Europa, ma estremamente significativo, del contrabbando di libri pubblicati nella propria lingua nella Prussia Orientale (Piccola Lituania – Mažoji Lietuva), importati dai knygnešiai (portatori di libri) e diffusi illegalmente nel Paese. A questo si aggiunse la formazione di scuole nazionali del sottosuolo, illegali per il potere zarista e per questo perseguitate e soppresse. Le leggi imperiali si imposero sullo Statuto lituano, che aveva codificato la gestione degli affari pubblici rispettando il corpus giuridico dell’epoca del Granducato.

 

Le devastazioni del patrimonio culturale lituano nel XIX secolo per opera della Russia imperiale non si contano. Dalla distruzione del complesso del Palazzo dei Granduchi di Lituania a Vilnius (abbattuto già quasi completamente nel corso dell’invasione russa del 1655-1661 e raso al suolo de-finitivamente con la spartizione della Polonia e della Lituania nel 1795), a quella del ricco patrimonio nobiliare, al divieto di costruzione e di restauro di chiese cattoliche, trasformando quelle esistenti in chiese ortodosse, alla chiusura (1832) della più antica Università dell’Europa Orientale, quella di Vilnius (fondata nel 1578-79), alla depredazione di opere d’arte e del patrimonio librario, il quadro della devastazione imperiale appare in tutta la sua portata e chiarezza. Non è un caso se a tutto questo nel corso dell’Ottocento i Lituani opporranno emigrazioni di massa in tutti i continenti e rivolte (1830-31; 1863) che otterranno in risposta violente repressioni. Con quella violentissima del 1863, che venne seguita anche da deportazioni di massa e di interi villaggi lituani in Siberia, il governatore di Vilnius, Michail Muravjov (detto anche “l’Impiccatore”, proprio per il suo compor-tamento in questa violenta repressione) aveva dichiarato: «Fra un secolo non esisteranno più né la Lituania né i Lituani».

 

L’importanza della Dichiarazione d’Indipendenza del 16 febbraio 1918.

 

Proprio con la repressione del 1863 inizierà così il pieno risveglio nazionale lituano. Coinvol-gendo anche le campagne (la liberazione dei servi della gleba aveva consentito la formazione di contadini piccoli proprietari), con alla guida il clero popolare cattolico, questo movimento mirava prima di tutto alla riappropriazione del patrimonio culturale lituano. La pubblicazione a Königsberg (Karaliaučius) della rivista Aušra (1883) (Aurora) da parte del patriarca della Nazione, Jonas Basa-navičius, seguita da Varpas (1889-1905) (La Campana) di Vincas Kudirka, da Vilniaus Žinios (1904) (Il giornale di Vilnius, primo quotidiano in lituano), da Ukininkas (Il fattore) e dalle riviste cattoliche Šviesa (La Luce) e Tėvynes Sargas (Il Custode della Patria), sono le pietre miliari del ri-sveglio nazionale ma anche parte di una rinascita multiculturale, animato soprattutto dalla liberazione della lingua. Non va dimenticato che fino al 1904 ha dominato la censura imperiale russa. Passando attraverso la rivoluzione del 1905 e il coinvolgimento dei ceti popolari, questo risveglio assume due volti: quello dell’affrancamento politico dalla dominazione dei Romanov e culturale dal peso storico della Polonia.

 

L’Indipendenza del 1918 e la Prima Repubblica Lituana (1918-1940) saranno favorite natural-mente dal rifiuto dell’occupazione tedesca e dal collasso dell’Impero zarista, con il processo rivolu-zionario in Russia e con l’affermarsi del principio di autodeterminazione dei popoli. Anche se non potevano sperare di rivitalizzare la plurisecolare esperienza storica del Granducato di Lituania – con tutta la sua ricchezza, anche e soprattutto in termini di esperienza politica e istituzionale – gli uomi-ni della Prima repubblica riuscirono a mantenere in equilibrio l’eredità plurietnica e multiculturale dei secoli del Granducato: un capolavoro che verrà fatto saltare definitivamente dalla brutale occu-pazione sovietica del 1940-1941.

 

Il periodo dell’Indipendenza fra le due guerre (1918-1940)

 

La Dichiarazione d’Indipendenza del 1918 ha consentito un periodo di straordinaria importanza per la Lituania. Spesso – soprattutto in Italia – non si riesce a comprendere cosa abbia rappresentato la sovietizzazione staliniana, improvvisa e brutale, in un Paese che, fra il 1918 e il 1940 – grazie all’indipendenza politica – aveva raggiunto, già nei primi dieci anni, livelli di civiltà simili o addirittura superiori a quelli dell’Europa scandinava (il PIL della Lituania fra le due guerre mondiali superava quello della Finlandia), uno standard of living occidentale, uno sviluppo e una rinascita agricoli (grazie alla sapiente riforma agraria) e industriali di grande portata, un’integrazione nella divisione internazionale del lavoro, una bilancia commerciale virtuosa, un avanzamento senza precedenti del settore sanitario, l’abbattimento della mortalità infantile, l’eliminazione dell’analfabetismo, la rinascita e l’internazionalizzazione delle Università, un’ingente produzione libraria, un equilibrio interetnico e interreligioso di grande efficacia, un formidabile progresso tecnico-scientifico, uno sviluppo culturale imponente e via dicendo. I ventidue anni d’Indipendenza interbellica inoltre ave-vano già dimostrato le straordinarie potenzialità, anche in termini di protezione della cultura e della lingua, che l’indipendenza politica poteva comportare per un Paese come la Lituania. Quello cultu-rale, in quanto a rinascita e vitalità, era un bilancio marcatamente positivo e si andava ad aggiungere a tutti i dati economici e di sviluppo della società civile, relativi all’aumento del livello di vita, che le statistiche dell’epoca mostravano oltre ogni dubbio. Non si era trattato, infatti, soltanto della riforma agraria del 1920-1922, dello sviluppo imponente del movimento cooperativo nelle campagne, della rinascita economica, dello scarso interventismo statale nell’economia, della rinascita a passi da gigante dell’industria produttiva, della ripresa dell’export, del rifiuto di politiche autarchiche, della bilancia commerciale virtuosa, della costruzione di un Paese dotato di una sanità ben al di sopra del livello degli altri Paesi progrediti. L’integrazione nella cultura europea, la rivitalizzazione della lingua lituana, la cura per il recupero della storia e dei monumenti, l’istruzione attenta ai bisogni locali e il fiorire di associazioni private e volontarie per lo sviluppo della cultura e dell’insegnamento, la crescita vertiginosa dell’editoria e la ripresa della produzione libraria, sono solo alcuni dei più rappresentativi, accelerati progressi che caratterizzarono i primi dieci anni di Indipendenza. A questo andrebbero aggiunti il crescente livello culturale delle avanguardie studentesche e artistico-culturali, autonome, responsabili ed entusiaste e la possibilità di viaggiare all’estero e di fruire di borse di studio, il rispetto delle altre lingue e culture nella Lituania indipendente, che avevano la possibilità d’insegnamento e di diffusione, il rispetto dei diritti religiosi a largo raggio. Molti di questi aspetti si trovano descritti anche nel volume di Nicola Turchi, del 1933, La Lituania nella storia e nel presente.

 

In particolare, non è mai stato considerato il fatto che quel periodo storico non solo è riuscito a evitare per due decenni alla Lituania e ai Paesi Baltici l’immane devastazione subita dalle Repub-bliche sovietiche limitrofe – soprattutto la Bielorussia (legata per secoli, anche culturalmente, al Granducato di Lituania), la stessa Russia (in particolare quella meridionale, piagata da spaventose carestie dovute alle collettivizzazioni, da repressioni di massa, deportazioni e da inaudite violenze e, già dal 1921, dalla distruzione dell’economia) e la martoriata Ucraina, che sta pagando ancora oggi le conseguenze della soppressione della sua indipendenza, durata solo due anni – ma ha anche con-sentito alla Lituania di evolversi per ventidue anni in senso diametralmente opposto. Non meraviglia di certo che la propaganda sovietica abbia per lungo tempo cercato di nascondere la realtà storica della Prima Repubblica Lituana (distruggendo anche una quantità di documenti preziosi per gli storici) e abbia persino fabbricato ad arte false ricostruzioni storiche di quel periodo.

 

Conclusioni

 

Come ha notato Yves Plasseraud: «La Lituania è la memoria di una grande potenza in un piccolo Stato». L’Indipendenza riguadagnata nel 1990-91 è tuttavia erede della Prima Repubblica lituana e si è affermata tenendo presente quella mirabile realtà storica, soppressa con la violenza dell’occupazione sovietica del 1940 e del 1944, che ha devastato una terra e precipitato per mezzo secolo un intero Paese, libero e fiorente, nel punto più profondo del gorgo delle utopie criminali del Novecento, con uno tsunami di proporzioni colossali, durato mezzo secolo, fatto di totalitarismo, di un sistema antieconomico e di un deliberato progetto di annientamento e di genocidio (frenato, a differenza di quanto accaduto in Lettonia ed Estonia – che pur insorsero, ma troppo debolmente – dalla resistenza armata di tutto un popolo negli anni 1944-1954), attaccando, devastando, deportan-do, fucilando, collettivizzando con la violenza e depredando senza sosta né pietà un intero Paese, senza che mai alcuno abbia pagato per tutto questo.

 

È molto difficile sottovalutare – per quanto si cerchi di addomesticare l’argomento – la rilevanza dell’Indipendenza politica per la salvaguardia della ricchezza letteraria, linguistica, artistica di un Paese come la Lituania. La sua esperienza storica, infatti, dice molto sull’effetto che l’Indipendenza ha avuto e può ancora avere in futuro sulla cultura nazionale, sulla lingua, sull’identità di un popolo e sulla preservazione della sua memoria storica. Questo era già stato intuito e anticipato da Jonas Basanavičius (1851-1927), il Patriarca della Nazione e della riconquista dell’Indipendenza politica, nel 1918. Per continuare a perseguire, come hanno sempre fatto i Lituani in tutta la loro storia, la libertà e l’indipendenza, quelle considerazioni rimangono ancora valide. Anche come esempio per chi incominci a studiare la storia della Lituania per come si è realmente svolta e non per come è stata a lungo presentata, falsificata da dominatori e tiranni.

 

Alessandro Vitale, politologo e professore dell’Università degli Studi di Milano
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