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Un monumento alle vittime della Shoah realizzato da Arbit Blatas nel ghetto più antico del mondo

Nel ghetto storico di Venezia, Campo de Gheto Novo, circondato dalle più antiche sinagoghe e dal museo ebraico della città, un monumento commemora la tragedia della Shoah ed è realizzato dal pittore e scultore litvak Arbit Blatas (1908 – 1999). L’artista lituano di origini ebraiche in soli quaranta giorni scolpì una rappresentazione scultorea composta da sette bassorilievi bronzei, ciascuno recante un nome particolarmente significativo. Nel ghetto veneziano si trova la sua versione originale, inaugurata nel 1980, mentre le copie della composizione sono presenti in diversi luoghi legati alla memoria dell’artista: a Parigi, a New York e a Kaunas. Dieci anni dopo nella stessa piazza, con la partecipazione del presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, fu inaugurato l’ottavo bassorilievo bronzeo commemorativo. Durante la sua vita Blatas ricevette diversi riconoscimenti e onorificenze per la sua attività artistica e culturale, tra questi anche la medaglia d’oro “Venezia Riconoscente”.

Kristina Janušaitė-Valleri
ITLIETUVIAI.IT

Addentrandosi nella parte più antica del celeberrimo ghetto ebraico, chiamato paradossalmente Campo de Gheto Novo, ci si imbatte in un muro di mattoni rossi incorniciato da filo spinato. Il muro è segnato con il numero 2874 ed è un luogo della memoria. L’autore del monumento che commemora la tragedia della Shoah è il pittore e scultore lituano di origini ebraiche Arbit Blatas: sette bassorilievi in bronzo per rappresentare diversi momenti dello sterminio ebraico.

Arbit Blatas (ossia Neemija Arbitblatas) nacque a Kaunas nel 1908 e morì a New York nel 1999. La sua ricerca artistica lo portò dalla scuola della pittura della città natale a Berlino, Dresda e Monaco di Baviera, dove conobbe l’espressionismo tedesco, e successivamente a Parigi, in Italia e negli Stati Uniti. L’opera di Blatas fu fortemente influenzata dall’umanesimo artistico. Durante la sua vita ricevette diversi riconoscimenti e onorificenze, tra questi la Legion d’Onore (Francia), la medaglia d’oro “Venezia Riconoscente”, la medaglia Masada di Israele, la cittadinanza onoraria di New York e la medaglia della città di Parigi.   

Pur avendo trascorso la maggior parte della sua vita all’estero, Blatas restò profondamente legato alle sue radici: considerava il paese baltico la sua vera patria e durante le mostre si presentava come figlio della Lituania. Prese parte attiva nella vita culturale americana, francese e italiana, quindi non fu casuale che scelse proprio questi luoghi per commemorare il genocidio del popolo ebraico: le copie del monumento veneziano si trovano a Parigi, a New York davanti alla sede delle Nazioni Unite e a Kaunas, nel IX forte, luogo-simbolo dello sterminio degli ebrei lituani.

La versione originale della composizione scultorea si trova a Venezia. Si accede al ghetto, situato nel sestiere di Cannaregio e noto per le case più alte di tutta la città, tramite il Sotoportego de Gheto, tra una farmacia e il ristorante kosher Gam gam: un passaggio sotto le abitazioni che è uno degli elementi più caratteristici dell’urbanistica veneziana.

Il termine “ghetto” nasce proprio qui, in questo luogo, ed è riferito alla parola dialettale geto (pronunciata ghèto) che si registra a partire dal XVI secolo. Il decreto del 29 marzo 1516 della Serenissima, sotto l’influenza del Santo Ufficio dell’Inquisizione, stabilì una residenza coatta a tutti i “giudei” (parola fortemente dispregiativa), costringendo gli abitanti di fede ebraica a trasferirsi in una zona circoscritta e isolata dal resto della città, vecchia sede di pubbliche fonderie ormai dismesse. 

Il territorio del ghetto è suddiviso in tre parti: Gheto Vechio, Gheto Novo e Gheto Novissimo. Paradossalmente il Ghetto Nuovo è la zona più antica abitata dagli ebrei veneziani. L’aggettivo “nuovo” non si riferisce alla fondazione del ghetto bensì alle fonderie inizialmente lì collocate. Dopo l’entrata in vigore del suddetto decreto gli ebrei iniziarono a stabilirsi nel territorio circoscritto del Ghetto Nuovo. Tuttavia ben presto il posto non bastava più per accogliere tutti gli espulsi della città e nel 1541 vennero aggiunti altri due spazi adiacenti.

Le cinque sinagoghe rimaste in piedi testimoniano la ricchissima vita religiosa e culturale passata del ghetto. Tre delle sinagoghe sono situate nella piazza del Ghetto Nuovo, insieme al memoriale delle vittime della Shoah di Arbit Blatas.

Quali motivazioni spinsero l’artista lituano a realizzare questo monumento? Durante la guerra i genitori di Blatas furono entrambi deportati: la madre finì nel campo nazista di Stutthof, dove morì, il padre invece sopravvisse al campo di Dachau facendo ritorno a casa, per sempre segnato da inimmaginabili sofferenze. Secondo la scrittrice e giornalista Ruth Gruber, per Arbit Blatas la morte del padre, a cui assistette, fu un durissimo colpo e, come una bomba a scoppio ritardato, riportò a galla tutte le ferite più profonde. Blatas si tenne nascosto il peso della memoria per moltissimi anni, fino al 1978, anno in cui fu invitato a partecipare alla serie TV statunitense Holocaust. A Blatas fu proposto di creare un’introduzione artistica a ogni episodio, realizzando così dodici disegni in bianco e nero (colori di una forte valenza simbolica nel misticismo ebraico).

Nel 1979 Arbit Blatas partì per Venezia, aprì uno studio sull’isola di Giudecca e decise di tradurre questi disegni in sculture. Si chiuse nello studio per quaranta giorni dedicandosi esclusivamente alla realizzazione di alcune scene tra le più emblematiche dello sterminio ebraico. I bassorilievi vennero prodotti nelle fonderie della città di Treviso. Lo scultore, insieme alla moglie Regina Resnik, decise alla fine di regalare il monumento alla città di Venezia. 

A ognuno di questi bassorilievi l’artista scelse un nome significativo. “La deportazione” racconta una scena di trasporti coi carri bestiame: una massa indistinta di donne, bambini e uomini, circondati dai soldati coi fucili puntati, stanno per salire sul treno della morte. “La notte dei cristalli” (la Kristallnacht) evoca gli eventi dei pogrom nazisti nel novembre del 1938 contro i negozi ed abitazioni ebraiche. “La cava” commemora gli schiavi del lavoro: un soldato tedesco urla minaccioso contro tre prigionieri sopraffatti dalla fatica nel trascinare delle pietre. Nella scena “la punizione” vediamo due uomini appesi per le mani a un palo, come un avviso per chi osa ribellarsi alla legge. “L’esecuzione nel ghetto” è la scena della fucilazione. “La rivolta nel ghetto di Varsavia” commemora il coraggio della più disperata ribellione contro l’oppressione nazista nella capitale polacca nell’ottobre del 1943. Sulla sinistra del monumento troviamo il bassorilievo “la soluzione finale”: un comandante nazista dà l’ordine al plotone di esecuzione di sparare. 

Sempre nella piazza del ghetto, sul muro della casa di cura della comunità ebraica, il 19 settembre del 1993 fu inaugurato l’ottavo bassorilievo (realizzato nel 1989) dedicato alla memoria della Shoah, con la partecipazione del presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro: “l’ultimo treno”. Sulle assi di legno situate dietro il bassorilievo ci sono iscritti i 246 nomi delle persone deportate dal ghetto di Venezia.

In questo modo Arbit Blatas ci invita a non perdere, nell’enormità della tragedia della Shoah, lo sguardo sul singolo e sulla singola storia.

Tradotto da Toma Gudelytė

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