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Il grido inascoltato dei popoli baltici e come siamo arrivati al pericolo di una guerra nucleare

Come siamo giunti a parlare della guerra nucleare nel cuore di un’Europa, anche se troppo divisa, ma pur sempre faro della civiltà? Cosa è andato storto? Sono in tanti i giornalisti italiani a farsi questa domanda intavolando centinaia di discussioni negli studi televisivi. Chi cerca le risposte, e chi, addirittura, si spinge a giustificare Putin per poi comunque condannarlo ipocritamente per le sue azioni.

Kristina Šarkytė
www.politicainsieme.com

C’è qualcuno però che ha sempre gridato al “pericolo russo” ma non è mai stato ascoltato. Tre lembi di terra, troppo piccoli per poter fare la voce alta tra i paesi dell’Unione Europea, i paesi Baltici. Troppo giovani politicamente e geograficamente parlando, per chi la storia del nord Europa non la conosce, troppo inesperti per poter “dare lezioni” agli anziani di civiltà e di democrazia.

Qualcosa è sfuggito ai vecchi d’Europa. Nessuno ha ascoltato i tre piccoli paesi, i quali, a detta di Prodi, a Putin non interessavano per niente. Lo disse chiaramente il generale Giuseppe Cucchi dal 1996 al 1999 consigliere militare del premier durante il primo governo Prodi, nel suo editoriale pubblicato su Limes: “Nessuno di noi ha saputo immedesimarsi nella mentalità della Russia, o perlomeno in quella del suo attuale zar”,  salvo costatare di fatto che “abbiamo continuato a considerare esagerate, se non assurde, le loro paure. In particolare, quelle delle tre repubbliche baltiche, che ammonivano sulla possibilità di un ritorno offensivo della Russia”.

Il Generale Cucchi ammette due verità molto importanti: la prima, è di non aver ascoltato i paesi Baltici che hanno vissuto sulla propria pelle in modo molto doloroso l’agire aggressivo della Russia. Avevano osservato e compreso perfettamente dove esattamente la Russia stava andando. La seconda è un problema di fondo, quello di non capire come funziona la testa e la mentalità dello zar russo. Putin ha ammaliato l’Occidente con doni e vantaggi annebbiando la vista degli stati europei. Così, ha potuto produrre indisturbato armamenti offensivi e bunker privati in attesa del grande giorno. Putin ha sempre disprezzato profondamente i capi di quei paesi occidentali che si recavano da lui sperando di fare affari. Quelli che, tornati al proprio paese, si sentivano onorati e fieri di aver strappato un affare per il proprio territorio nazionale senza curarsi di una strategia comune, ad esempio quella energetica, riguardante tutta la UE. Lui ha sempre disprezzato l’Occidente, i diritti dell’uomo, il “marcio capitalismo”, le donne europee con ruoli apicali che sono costantemente derise nelle trasmissioni russe, insulti continui verso le famiglie arcobaleno. Ha sempre disprezzato la pace e libertà di scelta.

Eppure, l’arrivo di Putin al governo, da capo dei servizi segreti russi, doveva pur preannunciare un qualche allarme. Per diventare il capo dell’ex KGB rinominato in FSB ci voleva una certa predisposizione. Ci voleva la crudeltà di chi era capace di buttare un cadavere di fronte alla prigione per poter poi arrestare chiunque si fermasse a piangerlo.
Bisognava essere duri, più duri di quelli che torturavano i civili malcapitati, più freddi e crudeli di quelli che andavano ad eseguire gli ordini. Bisognava essere la grande mente di un regime fatto di terrore e di violenza inaudite.

Tanto da inventare, oggi, un forno crematorio mobile per poter bruciare i propri soldati e non lasciare traccia delle proprie perdite sul campo. Tanto da arrestare i bambini con i fiori in mano per aver espresso la solidarietà all’Ucraina. Tanto da tappare le bocche alle madri disperate che non hanno potuto avere neanche una tomba per piangere un figlio, carne da macello nel disegno mostruoso di un dittatore. Saper reprimere senza pietà ma con una opportuna propaganda giustificativa. Pagare, finanziare tutti indistintamente sia destra, centro o sinistra, corrompere, per poi ricattare e controllare.

Il direttore del Centro Baltico degli studi della Russia Vladimir Juskin nel 2020 ha fatto un’interessante analisi alla rivista “Estonian world”: “Dalla prospettiva del leader del Cremlino, l’Europa dell’Est dal protettorato degli inglesi è passata al protettorato degli americani, ma la presenza etnica dei cittadini russi su quei territori significa che lui pretenderà di condividere questo protettorato con la Russia e che Mosca ha diritto “all’intervento umanitario”.

Stiamo assistendo tutti a questo “intervento umanitario” in Ucraina, ma attenti, perché ne seguiranno gli altri. In ogni paese dell’ex urss ci sono città fittamente abitate dai russi. È una conseguenza del dislocamento dei cittadini russi avvenuto nei decenni sul territorio con lo scopo di russificare le popolazioni locali. Accettare i referendum a Doneck e Lugansk promossi e finanziati dalla Russia è stato un grave errore. Sono stati “gli amici” della Russia, Francia e Germania, a far ingoiare il boccone amaro all’Ucraina desiderosa di entrare nell’UE facendo sì che fossero firmati i patti di Minsk.

Così si firmava per una finta pace senza neppure aver provato di risolvere il problema. È stato facile dividere e donare la terra di un altro stato a qualcuno che ti onora con dei vantaggi di grande rilievo per la tua economia nazionale. A Putin andava bene. Poteva farla saltare con la propaganda e con le provocazioni sui territori caldi. Aveva vinto lui perché aveva ottenuto una spaccatura del territorio ucraino riconosciuta a livello internazionale. Spaccando una nazione Putin aveva creato il presupposto gravissimo dalle conseguenze potenzialmente devastanti. Ogni città o regione di un qualunque paese della ex Urss poteva essere portata al voto con lo scopo di ottenere l’indipendenza ed autonomia con la relativa annessione alla madre Russia.

Lo schema era molto semplice e banale: finanziare i russi locali per agitare le acque, investire nella guerra d’informazioni confezionata su misura per la mondovisione, provocare le situazioni di conflitto, riscuotere reazioni contrarie sul territorio, ed ecco che ovunque si sarebbero registrati gli episodi documentati del “razzismo contro i russi”. Mancava una bandiera di nazisti in mano ad un imbecille ed il gioco era fatto. La Russia ora poteva combattere il fascismo. Perché basta quella bandiera negli occhi del mondo per cancellare all’istante i decenni di repressioni, torture e di uccisioni di cittadini innocenti ucraini nelle carceri del KGB e per mano dell’Urss che si ritrovavano di dover affrontare di nuovo. La risposta militare di un popolo libero fu scontata.

Ovunque tra i paesi sfuggiti al regime ci sono zone altamente popolate dai cittadini russi. In Lituania esiste tutt’oggi una città chiamata Visaginas, dove la maggior parte della popolazione, più del 52% è fatta dai cittadini russi, 10% di bielorussi, e solo il 18% di lituani. Se si iniziasse una propaganda filorussa indipendentista ben finanziata, ci vorrebbe davvero poco per sentir parlare del referendum sullo Stato libero di Visaginas annesso alla Russia. Ci vorrebbe ancora meno per vedere il popolo lituano armarsi con l’intento di proteggere la propria terra anche con il sangue. I media russi ci definirebbero un popolo nazista. Gli stessi problemi ci sono in Georgia, Moldova, Estonia, Lettonia. I varchi geopolitici per poter intraprendere le stesse azioni destabilizzanti sono di fronte agli occhi di tutti.

Il professore Vytautas Landsbergis, il fondatore del movimento “Sajudis” che ha condotto la lotta per l’indipendenza della Lituania nel periodo buio, da 30 anni ormai conduce una battaglia anti-Russia. Nell’intervista rilasciata 4 febbraio del 2022 alla TV LRT dichiara “La Russia ha svolto la sua politica attraverso singoli paesi. Corrompendo, facendo favori, facendo amicizia con i paesi più potenti d’Europa. Tutti loro si sono fatti prendere in giro pensando solo al proprio tornaconto nazionale, sentendosi favoriti l’uno al posto dell’altro, raccogliendo dei beni materiali offerti loro. Non hanno pensato che dietro a tutto ciò c’era un’azione evidente dello spaccamento dell’Unità Europea. Non volevano vederlo, oppure non lo hanno visto abbastanza chiaramente”.

La Lituania, nel dicembre del 2021, era certa dell’invasione russa in Ucraina. Ne parlarono i giornali locali mentre il ministro degli affari esteri lituano aveva avvisato che questa questione non veniva vista seriamente. Il mondo era cieco quando solo nel 2021 la Russia aumentò il budget per armamenti di quattro miliardi di rubli. La spesa militare russa pro capite negli ultimi venti anni è aumentata del 570,9 % ed incide per 4.3% sul prodotto interno lordo.

L’amore di Putin per la bomba è palese. Le sfilate annuali militari accarezzano la sua autostima. Nessuno si è accorto di nulla, oppure non ha voluto accorgersene. Aprite gli occhi. Un dialogo non ci sarà. Ci sarà solo il braccio di ferro. La tregua servirà solo per leccarsi le ferite e per riarmarsi finché lo zar rimarrà al governo. Attenti alla Medusa Putin, le sue bilance non funzionano con i pesi dell’occidente. Con quel tipo di mentalità uno scopo superiore vale un qualunque sacrificio. Lo dicono gli stessi cittadini russi “Noi non abbiamo paura, abbiamo visto e sopportato di tutto sopporteremo in futuro. Siete voi ad averne, perché ancora non avete visto nulla”.

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