Villa Lituania e la travagliata storia dell’ambasciata lituana del primo dopoguerra
A Roma si trova un edificio particolarmente significativo per lo stato lituano, un vero e proprio simbolo dell’identità nazionale che riunisce il destino tragico e le speranze della Lituania indipendente. Si tratta di Villa Lituania, l’ambasciata dello stato baltico indipendente che nel 1940 fu confiscata dall’Unione Sovietica: è stato l’ultimo territorio lituano ad essere occupato e mai restituito. Nel mezzo secolo di occupazione seguirono vari tentativi diplomatici di restituzione, proteste, persino un volo delle colombe della pace. Qualche anno fa l’Italia rimediò all’ingiustizia storica offrendo allo stato lituano in via esclusiva un nuovo spazio nel centro di Roma. La memoria della leggendaria Villa Lituania resta viva, infatti nell’odierna ambasciata ne è attualmente custodita una parte: un archivio fotografico e alcuni mobili d’epoca.
Toma Gudelytė
ITLIETUVIAI.IT
In Via Nomentana 116, a Roma, si trova una sezione consolare dell’ambasciata della Russia, un tempo consolato dell’Unione Sovietica. Nel primo dopoguerra, questo indirizzo ospitava il vero centro della lituanità romana, ovvero Villa Lituania. Sebbene la permanenza dell’ambasciata indipendente nello splendido edificio fu breve, per la giovane nazione baltica fu un motivo di vanto. Non stupisce dunque che la sua storia susciti ancora momenti di nostalgia e rammarico, nonostante la Repubblica Italiana recentemente abbia rimediato all’ingiustizia storica provvedendo al restauro e offrendo all’ambasciata della Lituania indipendente uno spazio diverso nel centro di Roma.
La storia della villa, situata in un prestigioso quartiere romano, inizia nel 1912, quando, su commissione della famiglia Page, i celebri architetti Pio e Marcello Piacentini costruiscono la villa, a cui successivamente viene dato il nome di Villa Maria Luisa.
Dopo che l’ambasciata lituana si insediò nell’edificio, esso fu rinominato Villa Lituania diventando centro della cultura lituana, celebre in tutta la capitale e frequentato persino dall’aristocrazia italiana.
Nel 1933 la signora Page si offre di affittare lo splendido edificio ammobiliato insieme al parco (quasi un ettaro di terreno) per un prezzo irrisorio a un diplomatico lituano residente a Roma, il ministro delegato Voldemaras Čarneckis. La famiglia Čarneckis accetta la proposta e si trasferisce nella villa. La figlia del diplomatico, Liučija Čarneckaitė-Jasiulevičienė, raccontava che la nobildonna romana era un’amica di famiglia e nutriva profondo affetto per la Lituania, sapendo che lo stato non aveva le possibilità finanziarie per acquistare un simile patrimonio.
Il 6 luglio 1937, ovvero dopo quattro anni, lo stato procede all’acquisto della villa, valutata all’epoca 3 milioni di lire, impegnandosi a coprire a rate la spesa entro il 1952. Con l’insediamento dell’ambasciata lituana l’edificio viene rinominato Villa Lituania, diventando un vero e proprio centro della cultura lituana, celebre in tutta la capitale e frequentato persino dall’aristocrazia italiana. Ma di lì a poco inizierà la lunga e travagliata storia della sua occupazione.
Nell’inverno del 1939 V. Čarneckis torna con la famiglia in Lituania. Nelle mansioni viene sostituito da Stasys Lozoraitis, la cui famiglia si trasferisce in Villa Lituania nel luglio 1939. Inizia l’occupazione dei paesi baltici; i sovietici fanno pressione su Lozoraitis e sul Ministero degli affari esteri per cedere Villa Lituania (per la quale lo stato lituano ha già versato quasi metà della cifra pattuita) all’ambasciata sovietica, con tutti i mobili, archivi e altri beni. Lozoraitis rifiuta e manda due note diplomatiche.
Mentre i sovietici continuano ad esercitare pressione, Lozoraitis e l’incaricato presso la Santa Sede Stasys Girdvainis, nel tentativo di preservare l’edificio, il 30 luglio 1940 stipulano un contratto relativo alla cessione di Villa Lituania alla rappresentanza della Santa Sede. Ma il contratto non viene convalidato.
“Il 16 Febbraio 1938 ci fu una grande celebrazione per la festa nazionale con 800 invitati, di cui parlò tutta Roma”, S. A. Kubilius.
Il 26 agosto 1940 Stasys Lozoraitis annuncia al Ministero degli esteri italiano che lascia Villa Lituania, ma annota di non riconoscere il diritto dei sovietici di occupare l’edificio. I diplomatici dell’ambasciata sovietica, con la partecipazione dei rappresentati del Ministero italiano e della polizia, entrano nella villa il 27 agosto 1940. Ai lituani resta solo un ricordo di questo simbolo dell’indipendenza in Via Nomentana.
“Quando sono arrivato a Roma, c’erano ancora molti testimoni che avevano frequentato la villa. Il sacerdote Juozas Vaišnora raccontava di un grosso lampadario di cristallo, con lo stemma con il cavaliere del granducato di Lituania inserito tra i gioielli. Raccontava che il cavaliere del granducato di Lituania era rappresentato anche sopra un balcone.
Liučija Čarneckaitė aveva condiviso i suoi ricordi di come vivevano nella villa insieme ai genitori e ai fratelli e di come nel 1938 ci fu una grande celebrazione per la festa nazione, con 800 invitati, di cui parlò tutta Roma”, racconta Saulius Augustinas Kubilius, residente di lunga data a Roma e giornalista presso Radio Vaticana, al portale ITLIETUVIAI.IT. “Tutti sapevamo che quello era un territorio occupato, un fatto doloroso. Vedevamo sul cancello scritto Villa ma senza Lituania, poiché i nuovi proprietari avevano staccato quella parte.
“Prima di firmare la dichiarazione del trasloco dall’ambasciata, la famiglia Lozoraitis ha portato via tutto: mobili, dipinti, archivi. La moglie del diplomatico prima di partire ha reciso tutti i fiori del giardino, ha issato la bandiera lituana e ha lasciato la villa”, racconta R. Šlepavičius.
La famiglia Lozoraitis dovette abbandonare la villa velocemente, ma fece in tempo a portare via tutti i mobili. Una parte fu donata all’ambasciata lituana presso la Santa Sede, un’altra alla comunità, un’altra ancora all’ex ordine mariano situano nei dintorni; il resto agli amici italiani, mentre qualcosa tennero per sé. Villa Lituania fu lasciata completamente vuota ma, entrando, i sovietici furono accolti da un messaggio scritto sul muro che annunciava loro che i diplomatici lituani non avrebbero mai accettato una simile ingiustizia.
“Prima di firmare la dichiarazione del trasloco dall’ambasciata, la famiglia Lozoraitis ha portato via tutto: mobili, dipinti, archivi. La moglie del diplomatico prima di partire ha reciso tutti i fiori del giardino, ha issato la bandiera lituana e ha lasciato la villa. Il giorno dopo i sovietici e gli italiani si lamentarono (e se ne riscontra traccia anche negli archivi) che la villa fu lasciata vuota e che sulle pareti c’erano scritte antisovietiche e offensive verso Stalin”, racconta l’attuale ambasciatore lituano Ričardas Šlepavičius.
Lo scrittore lituano Antanas Vaičiulaitis, che all’epoca viveva a Roma, nel suo libro Le immagini dall’Italia descrive così l’addio dei lituani a Villa Lituania: “Quando Mussolini per un breve attimo fece amicizia coi russi e ci costrinse a cedere la nostra rappresentanza presso il Quirinale ai bolscevichi, il frate Ignacas venne alla villa per salutare la bandiera lituana, issata in alto sopra gli alberi di Roma.”
I lituani in realtà sono tornati ancora una volta nella villa, quando nel giugno del 1941, con lo scoppio della guerra tra la Germania e l’Unione Sovietica, l’edificio passò agli svedesi. Cogliendo l’occasione i lituani sono entrati nell’edificio senza autorizzazione.
“Gli svedesi hanno affisso un cartello sul cancello principale con scritto proprietà dello stato svedese. I lituani strapparono il cartello ed entrarono dentro. Gli svedesi chiesero agli intrusi di allontanarsi, ma i lituani persistettero: no, questa è la nostra proprietà. Con l’intervento del Ministero degli Esteri in qualche modo trovarono una soluzione; i lituani certo non volevano peggiorare le relazioni diplomatiche con questi paesi. Gli italiani promisero di risolvere la questione in modo che la rappresentanza lituana potesse tornare a Villa Lituania, ma non è mai successo,” racconta S. A. Kubilius.
Il giornalista S. A. Kubilius racconta che per la comunità lituana di Roma la perdita della villa fu da sempre una questione dolorosa; i lituani di Roma cercarono in molti modi di riparare all’ingiustizia storica, ma tutti i loro sforzi per anni furono ignorati.
“L. Čarneckaitė sentì questa ingiustizia per tutta la vita, mentre Kazys Lozoraitis, che da piccolo visse nella villa per un breve periodo, non ne parlava volentieri. I due ex abitanti di Villa Lituania si incontrarono ancora nella Lituana indipendente. L. Čarneckaitė inoltre portava un lutto maggiore: suo padre, poco dopo il rientro dall’Italia, fu fucilato dai sovietici e tutta la famiglia fu deportata in Siberia.
Si iniziò nuovamente a sollevare la questione della restituzione di Villa Lituania dopo l’indipendenza nel 1990. Le acque furono smosse da due celebri artisti lituani venuti a Roma, Nomeda e Gediminas Urbonai.
Non poter riavere un edificio del genere era una grande ferita collettiva aperta” dice S. A. Kubilius. “I politici sostenevano una soluzione pragmatica, ma in cuor mio speravo sempre che l’ambasciata in qualche modo ce l’avrebbe restituita. Per la comunità lituana questo poteva essere anche un luogo perfetto dove aprire l’Istituto Lituano di Cultura.“
Si iniziò nuovamente a sollevare la questione della restituzione della Villa Lituania dopo l’indipendenza nel 1990. Le acque furono smosse da due celebri artisti lituani venuti a Roma, Nomeda e Gediminas Urbonai, i quali mostrarono che l’arte può servire da importante forma di diplomazia.
Il loro progetto artistico “Villa Lituania”, presentato nel 2007 alla 52° Biennale di Venezia dal Centro dell’Arte Contemporanea e dal Ministero della cultura, si trasformò in una dichiarazione politica. Gli artisti idearono una gara simbolica tra le “colombe di pace”, mandando diverse note alle istituzioni locali, in conseguenza alle quale molti responsabili sono venuti a conoscenza di questo ultimo territorio lituano occupato.
“Ci siamo interrogati sul motivo di questa lunghissima assenza di proteste, sul perché i lituani abbiamo accettato così facilmente le condizioni a loro imposte. Abbiamo ricollegato questa assenza alla mancanza di immaginazione. Leggendo le memorie di L. Čarneckaitė ci siamo immaginati una forma artistica da dare alla questione.
“Grazie a questo progetto artistico un grande numero di persone è venuto a conoscenza dell’occupazione, tuttora in corso, dell’ultimo territorio lituano, la cui questione non è più stata affrontata a livello politico”, dice G. Urbonas.
Questo ci ha ispirati a fare un commento artistico-politico, per far vedere che chiediamo la restituzione attraverso una performance artistica, con un volo di colombe della pace,” dice Gediminas Urbonas a ITLIETUVIAI. IT. “Abbiamo scritto diverse lettere chiedendo di costruire un padiglione di colombe a Roma, per mettere pressione al comune di Roma, al Ministero della Cultura italiano e alla Biennale.
In altre parole, a tutte quelle istituzioni alle quali la questione di Villa Lituania per vari motivi non arrivava. Grazie a questo progetto artistico un grande numero di persone impiegate nel campo politico e amministrativo è venuto a conoscenza dell’occupazione tuttora in corso dell’ultimo territorio lituano, la cui questione non è più stata affrontata a livello politico”.
L’idea iniziale era che le simboliche colombe della pace, allevate nel territorio di Villa Lituania e rilasciate a Venezia, tornassero a casa, a Roma. Ci fu persino un tentativo di dialogo coi funzionari russi, ma senza successo. Dopodiché gli artisti provarono a posizionare la colombaia in qualche altra parte della capitale, ma il comune non diede il permesso. La responsabile comunale propose, come alternativa alla colombaia, la costruzione di un rifugio per gatti randagi in un parco romano.
Secondo gli artisti, la colombaia a Roma avrebbe avuto un forte valore metaforico, ma alla fine fu presa la decisione di portare le colombe a Venezia, da cui poi sarebbero partite verso casa, ovvero verso le proprie colombaie. Nella gara simbolica delle colombe della pace per la coppa di Villa Lituania parteciparono circa 1.200 colombe da Italia, Lituania e Russia.
Questo memorabile progetto lituano ottenne un grande riconoscimento e portò alla Lituania il suo primo premio alla Biennale di Venezia. La giuria lo definì un’indagine acuta e sottilmente umoristica dell’identità nazionale, capace di coinvolgere lo spettatore tramite una narrazione convincente. Nel padiglione lituano, basandosi su materiale archivistico, fu inoltre ricostruito un modello di Villa Lituania, che fungeva da piattaforma sulla quale gli spettatori potevano sedersi e guardare un montaggio filmato di contributi originali e d’archivio.
“Quando, progettando la nostra performance, visitammo Roma, K. Lozoraitis, che all’epoca stava sistemando l’archivio della madre, ci disse di avere una pellicola di 8 mm che avrebbe potuto prestarci. Conteneva le riprese fatte quando sono andati ad abitare nella villa. Portammo la pellicola a Vilnius. Era una pellicola di 70 anni fa, si era persino seccata.
Stavamo ragionando su come schiarirla, quando l’operatore cinematografico V. Gaigalas ci raccontò di un metodo che consiste nel chiudere la pellicola insieme alle patate in frigo. In questo modo la pellicola assorbe l’umidità e diventa più elastica, così poi si può sbobinarla e provarla a schiarire, perché davvero temevamo di romperla. Finalmente quel materiale italiano con l’aiuto delle patate lituane è tornato a nuova vita e siamo riusciti a schiarirlo“, racconta G. Urbonas.
“Con il terzo messaggio volevamo mostrare la continuità dello stato lituano, che la Lituania non era scomparsa ma occupata”, R. Šlepavičius.
Oggi il ricordo di Villa Lituania viene custodito non solo negli archivi, ma anche nell’odierna ambasciata lituana in Italia, collocata in un magnifico edificio di stile neorinascimentale della fine XIX sec., Palazzo Blumenstihl, inserito nella lista del patrimonio culturale italiano. Come prevede il contratto stipulato nel 2013, l’Italia cedette il palazzo all’ambasciata lituana per i successivi 99 anni al prezzo simbolico di un euro, riconoscendo il danno subìto e provvedendo a compensarlo. Si stima che l’attuale prezzo dell’edificio situato nel centro di Roma sul mercato immobiliare sia di 7,5 milioni di euro.
“Lavorando sugli interni dell’ambasciata, volevamo sottolineare tre messaggi: il primo era quello di preservare il patrimonio culturale italiano; il secondo, attraverso gli spazi e gli interni, rivelare lo spirito moderno e intraprendente della Lituania e creare un’istituzione funzionale e al passo coi tempi; con il terzo messaggio volevamo mostrare la continuità dello stato lituano, ovvero che la Lituania non era scomparsa ma occupata.
Lo mostriamo anche attraverso i mobili di Villa Lituania che ci hanno raggiunto grazie alla famiglia Lozoraitis. Abbiamo un comò e un tavolino a rotelle che all’epoca serviva da bar di Lozoraitis. Sono cose piccole, più che altro simboliche, ma senz’altro significative. Dalla famiglia Lozoraitis abbiamo ricevuto anche alcune fotografie autentiche. Nella sala di rappresentanza abbiamo appeso la fotografia originale che ritrae Villa Lituania. Quando gli ospiti ci chiedono dell’edificio nella fotografia, raccontiamo la storia.
A testimoniare la modernità e la globalità della cultura lituana ci sono i dipinti: nell’ambasciata abbiamo tele di vari periodi storici realizzate da artisti che vivono sia in Lituania sia all’estero. Vogliamo che si noti la creatività del popolo lituano sparso in vari paesi nel mondo”, afferma R. Šlepavičius.
Dopo aver ottenuto un nuovo spazio perfettamente idoneo all’ambasciata, la Lituania ha ritirato le pretese verso Villa Lituania. La tensione diplomatica, che per numerosi anni offuscò le relazioni bilaterali tra l’Italia e la Lituania, fu disciolta. Ora però resta il dovere di preservare quella parte della storia lituana che vide intrecciare le speranze e il destino tragico di un popolo.