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Adriano Cerri: tradurre letteratura mi arricchisce come linguista e insegnante

Se avete tra le mani un romanzo o un fumetto lituano, è molto probabile che sia stato tradotto da Adriano Cerri, studioso delle lingue baltiche presso l’Università degli Studi di Pisa nonché autore di numerose pubblicazioni scientifiche di linguistica, filologia e scienza della traduzione. Oggi Adriano è uno dei principali traduttori della letteratura lituana presso diverse case editrici italiane. Accanto a numerose voci contemporanee va ricordata la sua traduzione del poema settecentesco Le Stagioni di Kristijonas Donelaitis (uscita nel 2014), prima opera a tema profano della letteratura lituana. Quest’anno Adriano ha ricevuto una delle massime onorificenze della Repubblica della Lituania, un’occasione in più per incontrarlo e per conoscere la sua personale storia baltica. 

Toma Gudelytė
ITLIETUVIAI.IT

Caro Adriano, questo febbraio ti è stata conferita la prestigiosa Medaglia dell’Ordine “Per Meriti verso la Repubblica della Lituania”, per il tuo impegno nella diffusione della lingua e della letteratura lituana nonché per un significativo contributo scientifico nel campo degli studi baltistici. Tu ti consideri più un traduttore, un insegnante o uno studioso? O tutte e tre le cose insieme?

Cara Toma, sai che non ci ho mai pensato? Se proprio dovessi mettere questi profili professionali in un ordine, sarebbe quello inverso: studioso, insegnante, traduttore. Ma per una semplice ragione: i primi due aspetti – ricerca e insegnamento – rientrano tra le mansioni previste dalla mia posizione di ricercatore universitario, perciò hanno la priorità, mentre alla traduzione non resta che il tempo libero o quello che riesco a ritagliarmi tra un lavoro e l’altro. Resta il fatto che le tre attività sono strettamente collegate: tradurre mi arricchisce come linguista e insegnante, insegnare mi costringe a studiare, lo studio mi rende un migliore insegnante e traduttore.

Da quanto tempo ti occupi di traduzioni dal lituano? Perché hai scelto proprio questa lingua, o è stata la lingua a scegliere te?

Hai detto bene: è stata la lingua a scegliere me. Alle prime lezioni di lituano – correva l’anno 2005 – non avevo ancora neppure una chiara idea di dove si trovasse questo paese! Il mio piano di studi presso l’università di Pisa prevedeva corsi di varie filologie indoeuropee: slava, celtica, germanica e, appunto, baltica (tenuto dal prof. Pietro Dini). Qui rimasi affascinato dai paesi baltici, dalla loro storia, cultura, letteratura. Inoltre il corso era affiancato da un lettorato di lingua lituana che mi permise di acquisire i primi rudimenti di grammatica e di lessico; quanto bastava per sostenere una conversazione e per leggere dei testi (con l’aiuto del dizionario). L’anno seguente, sotto la supervisione della lettrice (la dott.ssa Rasa Klioštoraitytė, oggi affermata traduttrice dall’italiano al lituano), mi cimentai nella mia prima traduzione, un racconto di T.S. Kondrotas intitolato Meilė pagal Juozapą. Ricordo che quel lavoro mi occupò le intere vacanze di Natale, ma fu una grande soddisfazione. Da quel momento non ho più smesso di coltivare la traduzione, sebbene a fasi alterne.

Alle prime lezioni di lituano – correva l’anno 2005 – non avevo ancora neppure una chiara idea di dove si trovasse questo paese!

Puoi raccontare com’è il mondo della baltistica in Italia e che idea della Lituania e dei paesi baltici in generale si ha nell’immaginario collettivo italiano?

È più facile rispondere alla prima questione. Il mondo della baltistica italiana è piccolo e vivace. Piccolo per due ragioni collegate: ci sono pochi studenti e pochi specialisti/insegnanti. Naturalmente, è impossibile stabilire se sia nato prima l’uovo o la gallina. Fatto sta che quelle baltistiche sono materie cosiddette “di nicchia”. Il lato positivo è che quei pochi che vi si dedicano – studenti o specialisti – sono molto motivati e appassionati. E i risultati lo dimostrano: pubblicazioni, convegni, collaborazioni internazionali, traduzioni, corsi di lingua, progetti di ricerca, siti internet, e molto altro ancora. Quanto all’immaginario collettivo sulla Lituania, posso solo riportare la mia impressione. Penso che, al di là di molta confusione che ancora regna, alcune “nebbie” del passato si stiano diradando. Capita più spesso di leggere pubblicazioni in italiano su questo paese o di sentirlo nominare in tivù (penso a eventi recenti come il campionato europeo di pattinaggio su ghiaccio a Kaunas, al vertice NATO dello scorso luglio a Vilnius, o al recentissimo attentato a Leonid Vulkov avvenuto nella capitale). La Lituania continua a essere associata alle (e talvolta confusa con le) altre due repubbliche “sorelle” Lettonia e Estonia e, nel complesso, il terzetto viene collocato nella compagine geo-culturale dell’Europa settentrionale. 

Fatto sta che quelle baltistiche sono materie cosiddette “di nicchia”. Il lato positivo è che quei pochi che vi si dedicano – studenti o specialisti – sono molto motivati e appassionati.

La casa editrice milanese “Iperborea” ha inserito nella sua collana di reportage letterari, “The Passenger”, un numero speciale sui Paesi baltici. Tu hai partecipato a questo numero con un contributo sulla peculiarità linguistica, “Il piccolo popolo dal grande vocabolario”. Che tipo di ritratto ti interessava disegnare in questo articolo? 

“Il piccolo popolo dal grande vocabolario” è il modo in cui il poeta Vytautas Mačernis, in una delle sue ultime liriche, chiama il popolo lituano. A partire da questa citazione, in quell’articolo volevo evidenziare il posto speciale occupato dalla lingua madre nel sentire comune dei lituani. Essa, infatti, ha svolto e svolge ancora un ruolo determinante nella definizione identitaria. A partire dalle peculiarità comprovate della lingua lituana – in primis il fatto che è una lingua molto conservativa e arcaica – si sono affermati alcuni stereotipi (che sia impossibile da imparare) e leggende (che sia “simile al sanscrito”) che non sempre corrispondono al vero. Ciò che resta interessante, tuttavia, è che anche questi elementi sono funzionali al discorso identitario e vanno letti, a mio avviso, alla luce del desiderio di sopravvivenza che anima questo popolo.

Sempre nell’articolo citato tu cogli un momento essenziale nell’identità linguistica dei piccoli popoli, ovvero il fatto di trovarsi nella condizione “di confine”, in quello spazio che periodicamente (citando Czesław Miłosz) viene calpestato dall’elefante della Storia, per cui la cultura diventa, scrivi tu, quasi un istinto di sopravvivenza. Come vedi il nostro legame con la lingua e il patrimonio letterario? 

Anche se generalizzare è sempre rischioso, mi sembra che questo legame sia forte. Storicamente lo dimostrano tutti quei momenti di resistenza che i lituani, anche intesi come parlanti, hanno opposto alle minacce di oppressione linguistica e culturale (oltreché politica, s’intende) presentatesi nel corso dei secoli. Oggi una chiara dimostrazione della centralità riconosciuta al patrimonio linguistico e letterario del paese viene offerta dalle istituzioni politiche e culturali che, attraverso numerose azioni e congrui finanziamenti, sostengono l’attività di scrittori, traduttori, ricercatori e insegnanti.

Non posso non citare un passaggio dell’articolo che personalmente mi ha riempito di fiducia: descrivendo varie iniziative dell’LKI (Istituto della cultura lituana) tu dici che questo ente pubblico è il migliore amico dei traduttori, oltre ad esserlo per gli artisti, e che ti ha permesso di sentirti un traduttore. Vuoi raccontare la tua esperienza? Credi che il nostro mestiere generalmente sia un po’ sottovalutato?

Se si guarda alla storia della traduzione, ci si rende conto che essa è sempre stata considerata un’attività “di serie B”. Ciò, anche comprensibilmente, in ragione della priorità riconosciuta alla creazione (e all’autore) originale. Molto spesso, e fino a non troppi decenni fa, in un libro il nome del traduttore poteva perfino essere omesso. Negli ultimi decenni questo stato di cose è notevolmente mutato; oggi le buone pratiche editoriali prevedono l’indicazione del traduttore nelle pagine editoriali e nel frontespizio, non di rado perfino nella prima o nella quarta di copertina. Anche la legislazione e il diritto d’autore riconoscono nuovi e sacrosanti diritti ai traduttori (anche se non sempre questi vengono poi rispettati…). Sono tutti segnali positivi. 

D’altro canto, non mi riconosco in quei modelli critico-teorici che vedono il testo tradotto come una creazione sostanzialmente indipendente dall’originale e il traduttore come un co-autore in un’altra lingua. A mio avviso, resta pur sempre prioritario il momento dell’ideazione e della stesura dell’opera originale. Il traduttore fa un buon lavoro quando anziché “scalpitare” per rendersi visibile si pone al servizio del testo.

Questo per quanto riguarda la cosiddetta visibilità. Quanto agli aspetti economici e amministrativi, sì: il nostro è un lavoro sottovalutato perché, a fronte dell’enorme quantità di tempo, sforzi e competenze che richiede, le tariffe che le case editrici sono disposte ad accordarci restano basse. 

Tu traduci letteratura sia per il pubblico adulto (autori come Undinė Radzevičiūtė, Daina Opolskaitė, Romualdas Granauskas, Saulius Tomas Kondrotas, Giedra Radvilavičiūtė), sia per i ragazzi (Kęstutis Kasparavičius, Kotryna Zylė). Che tipo di narrativa ti dà più gioia tradurre? E quale sfida più grande hai incontrato in questo percorso? 

La gioia non mi viene da un genere letterario particolare, ma dal risultato in termini di impatto sui lettori. Ricevere un “grazie” per la traduzione di un libro che senza la mia intermediazione non sarebbe arrivato ai lettori: è questa la soddisfazione più grande. Da questo punto di vista, le mie recenti traduzioni di albi illustrati e libri per ragazzi sono fonte di gioia perché so che finiscono nelle mani di piccoli e giovani lettori appassionati.

Difficile dire quale sia stata la sfida più grande incontrata finora. Ogni libro è una sfida a uso modo diversa. Certamente, la traduzione di Metai (‘Le stagioni’) di Kristijonas Donelaitis, che mi ha impegnato per diversi anni, è stata la più faticosa; ma anche un libro di poche pagine può presentare passaggi molto spinosi. Per non dire della letteratura per ragazzi: per tradurla è necessario un forte senso della lingua, cioè riflettere costantemente sul come formuliamo ogni frase. Bisogna essere capaci di leggere e analizzare il testo come un adulto ma, allo stesso tempo, pensare e scrivere come un ragazzo. 

Come lettore sei esigente? Segui le novità dal mondo letterario lituano e italiano?

Sì, credo di essere esigente. La lettura, quando non è per lavoro, rappresenta il mio grande spazio di libertà. La letteratura non ha confini e può portarti dovunque; l’unico limite è il tempo che si può dedicarle. Perciò il tempo che le dedico deve essere di qualità: non posso perderlo in letture mediocri. Se penso a tutti i classici che non riuscirò a leggere prima di morire! Ecco perché sono esigente. Per il resto non pongo limiti: leggo autori di ogni nazionalità (soprattutto europei e nordamericani) e di ogni genere. Però non seguo molto le novità né in Lituania né in Italia. Ad esempio, ho letto di recente Le otto montagne di Paolo Cognetti, uscito nel 2016, e per me è… una novità. Non mi interessa stare aggiornato, quanto leggere ciò che merita davvero.

Nel 2019 hai tradotto per “Topipittori” il pluripremiato fumetto per ragazzi “Haiku siberiani”, tratto dalla storia vera della famiglia dell’autrice Jurga Vilė (e illustrato da Lina Itagaki) su una delle pagine meno conosciute del Novecento, ovvero le deportazioni sovietiche dei popoli baltici. Cosa ti ha lasciato la traduzione di questo libro? Credi che possa aiutare ad allargare la comprensione della nostra storia? 

Sicuramente sì. Il genere della graphic novel ha un enorme potenziale perché permette di gestire argomenti “pesanti” con leggerezza. Inoltre, il binomio testo-illustrazione crea un maggiore coinvolgimento (non solo dei giovani) e consente di presentare, con delicatezza, anche le pagine più buie della Storia, come nel caso del libro che hai ricordato. Mi sento fortunato ad aver tradotto Haiku siberiani e ne consiglio vivamente la lettura a tutti.

Hai qualche sogno nel cassetto riguardo alle traduzioni o al tuo lavoro scientifico? Stai già lavorando a un progetto per te particolarmente significativo?

A proposito di pagine buie della Storia, al momento sto correggendo le bozze del romanzo storico Mano vardas – Marytė di Alvydas Šlepikas, che sarà pubblicato quest’anno da La Nave di Teseo. È un libro molto bello, intenso nel ritmo, “cinematografico” nella costruzione delle scene, ma anche cupo e crudo, che racconta le vicende di alcuni “figli del lupo”, come erano chiamati i bambini tedeschi che nel dopoguerra cercarono riparo in Lituania. Nonostante la sua uscita abbia suscitato delle polemiche in Lituania, è una storia che mostra l’importanza di rimanere umani di fronte ad altri esseri umani – siano essi lituani, tedeschi o russi – e sono felice del fatto che uscirà in Italia presso una casa editrice importante.

Grazie!

Straipsnis parengtas pagal Lietuvių fondo finansuojamą projektąItalijos lietuvių bendruomenės veiklos efektyvinimas, informacijos sklaida, internetinė leidyba

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